L’incidenza delle infezioni dei vasi linfatici e dei linfonodi (linfangio-adeniti) varia a seconda delle condizioni predisponenti. Fattori di rischio, in particolare per l’arto inferiore, sono rappresentati da: alterazioni della barriera cutanea (ulcere, ferite, piaghe da decubito, dermatosi), che si complicano con episodi infettivi a carico delle vie linfatico-linfonodali nel 23,8% dei casi; intertrigo interdigitale macerante e ragadizzante (piede d’atleta) nel 61%; linfedema, che rappresenta il fattore di rischio più importante (71,2%); insufficienza venosa con edemi periferici, nel 2,9%; obesità, nel 2% dei casi, mentre non è stata osservata alcuna correlazione con il diabete, l’alcolismo e il fumo.
Tra le forme croniche specifiche, la linfadenite tubercolare è la più frequente manifestazione extrapolmonare della tubercolosi. In significativa diminuzione di incidenza sino agli anni ’70, sta aumentando di frequenza in questi ultimi anni. Nel 90% dei casi ha sede cervicale, per lo più a carico dei linfonodi cervicali (80-95% dei casi) e sottomandibolari, seguono i sovraclaveari e i nucali. Spesso l’interessamento linfonodale è multiplo e bilaterale. L’età più colpita è quella infantile e giovanile, ma non è esclusa l’età adulta e avanzata.
Gli agenti eziologici più comuni della linfangite acuta sono streptococchi (in particolare per l’erisipela, lo streptococco beta-emolitico di gruppo A), stafilococchi, colibacilli, pneumococchi. Porte di entrata dei germi sono rappresentate da ferite cutanee, focolai infettivi superficiali o profondi (ad es., foruncoli, tromboflebiti), da micosi ungueali e periungueali, intertrigo interdigitale macerante o ragadizzante (tipo piede d’atleta), micosi dei genitali esterni e perianale. Gli stessi agenti patogeni possono provocare anche quadri clinici ad evoluzione cronica (ad es. agli arti inferiori quando è associata un insufficienza venosa cronica, per la presenza di lesioni trofiche cutanee). Le linfangiti croniche profonde, spesso propagate dalla rete superficiale, aggravano il drenaggio linfatico e causano il peggioramento dell’edema periferico.
La linfadenite può conseguire al diretto insediamento dell’agente patogeno nel linfonodo, oppure essere l’effetto di un’azione a distanza dell’agente medesimo, situato in un territorio di cui il linfonodo è tributario. Più frequentemente le linfadeniti che giungono all’osservazione del chirurgo sono espressione di focolai primari d’infezione cutanei o mucosi che, attraverso la linfa, giungono ai linfonodi. Pertanto, alla linfangite si associa quasi sempre la linfadenite ma, non raramente, alla linfadenite può non coesistere la linfangite. Meno comuni sono le linfadeniti ematogene, che si osservano per lo più in occasione di malattie infettive generalizzate a carattere setticemico. In tal caso il coinvolgimento linfonodale è diffuso, espressione e manifestazione del processo setticemico. Agenti batterici e tossine di varia natura determinano reazioni linfonodali che, pur mancando di specifici caratteri clinici e anatomopatologici, sono tra loro accomunate dai segni generici della flogosi. Per qualunque via lo stimolo flogistico giunga al linfonodo, questo può rispondere in modo molto intenso (sino alla necrosi linfonodale), oppure con fenomeni reattivi che difficilmente si distinguono da quelli di una normale o appena esaltata attività funzionale.
Tali varietà di gradi nei meccanismi patogenetici e nella reazione di difesa si osservano sia nelle linfadeniti a decorso acuto, talvolta soltanto contrassegnate da fugaci tumefazioni linfonodali, ma altre volte rapidamente evolventi a colliquazione ascessuale, che nelle linfadeniti a decorso cronico.
Le linfangiti (infiammazione delle vie linfatiche) si distinguono in acute e croniche.
Le linfangiti acute includono le forme diffuse (reticolari o erisipeloidi) e quelle tronculari (che interessano un collettore linfatico superficiale). Le linfangiti sono, inoltre, suddivisibili in superficiali e profonde a seconda dell’interessamento dei linfatici sopra o sotto-fasciali. L’erisipela rappresenta una infezione batterica acuta del derma e dell’ipoderma, associata ai segni clinici dell’infiammazione. Più frequentemente colpisce l’arto inferiore e, in particolare, la gamba, ma può interessare anche la faccia e l’arto superiore. Generalmente si associa a linfadenite in corrispondenza delle stazioni linfoghiandolari satelliti. La linfangite tronculare comprende una forma meno grave di tipo eritematoso, ma può evolvere, soprattutto in soggetti immunodepressi, sino alle forme più gravi, suppurativa e gangrenosa, con la formazione di una vera e propria placca linfangitica e perilinfangitica per infiltrazione e diffusione al tessuto circostante del flemmone suppurativo, sino al formarsi di flittene ed escare, che possono anche approfondirsi (opportuna, in questi casi, la diagnosi differenziale con la fascite necrotizzante). La linfangite profonda è più rara e include anch’essa stadi di gravità differente dalla forma eritematosa a quella flemmonosa e asessuale, che può rappresentare il punto di partenza di una setticemia. Anche in questi casi, frequentemente, si associa il risentimento linfoghiandolare prossimale rispetto alla sede dell’infezione, colpendo inizialmente le stazioni linfonodali profonde.
Le linfangiti croniche si distinguono in aspecifiche e specifiche. Le linfangiti croniche aspecifiche sono caratterizzate da un ispessimento della parete linfatica, determinata da iperplasia delle cellule mio-epiteliali e dal progressivo deposito di collagene e fibroblasti tra le cellule muscolari lisce, sino alla completa obliterazione del collettore linfatico e conseguente linfedema periferico. Nei linfatici iniziali e nei pre-collettori si osserva la proliferazione endoteliale che porta allo stesso esito di occlusione vasale. Le linfangiti croniche specifiche includono quelle tubercolari, luetiche, leprose, da miceti e da parassiti (tipo filaria). In particolare per le forme tubercolari, i vasi linfatici svolgono un ruolo importante. Le pareti vasali sono ispessite e disseminate di tubercoli e il lume può contenere materiale caseoso. Si può avere una disseminazione di grosse cariche bacillari nel lume del dotto toracico con conseguente possibile tubercolosi miliare generalizzata. L’infestazione da filaria si riscontra nei climi tropicali (India, Brasile, Cina) ed è più comunemente causata da Wuchereria Bancrofti e Brugia Malayi. Il danno linfatico-linfonodale si verifica quando il parassita muore e si impila nei collettori linfatici, determinando la distruzione delle valvole e lesioni della parete vasale.
Le linfadeniti si distinguono in acute e croniche e, nella maggioranza dei casi, rappresentano una manifestazione satellite del processo flogistico-infettivo a carico della sede primitiva. Le linfadenite acute includono la forma iperemico-edematosa (o iperplastica) e la forma purulenta. Nella linfadenite iperplastica i linfonodi si presentano tumefatti e di consistenza molle per lo stato di edema e iperemia, con presenza nei seni marginali dilatati di numerosi macrofagi in attività fagocitaria e di liquido sieroso contenente linfociti, emazie e granulociti. Altri aspetti frequenti negli stati infiammatori dei linfonodi sono l’istiocitosi dei seni e l’iperplasia dei follicoli linfatici (linfadenite follicolare). La linfadenite purulenta è caratterizzata da focolai suppurativi o suppurativo-necrotici. Focolai suppurativi, dapprima puntiformi, possono in seguito confluire dando luogo ad ascessi che possono coinvolgere tutto il linfonodo e anche la capsula (periadenite) e i tessuti circostanti (flemmone perighiandolare o adenoflemmone). Si possono, altresì, formare fistole cutanee o verso organi interni (bronco, esofago, peritoneo).
Le linfadenite croniche aspecifiche sono caratterizzate da fenomeni proliferativi e sclerotici. I linfonodi sono aumentati di volume e di consistenza e, oltre alla istiocitosi dei seni, all’ipertrofia dei centri germinativi dei follicoli e alla proliferazione delle cellule reticolari della polpa, compare un ispessimento della capsula, delle trabecole e dela maglia reticolare, con conseguente riduzione della quota linfocitaria. La struttura linfoghiandolare, negli stadi avanzati viene sovvertita da un processo di progressiva scleroialinosi. Tra le linfadeniti croniche specifiche, quella tubercolare si distingue in una forma nodulare epitelioidea (il linfonodo appare cosparso di nodulini grigiastri, i tipici tubercoli, costituiti in prevalenza da cellule epitelioidi giganti tipo Langhans) e in una forma caseosa (quando la caseosi è massiva, i linfonodi , aumentati di volume e consistenza, appaiono spesso riuniti in grossi pacchetti e presentano una superficie di taglio bianco-giallastra e friabile tipo patata cotta). L’evoluzione delle lesioni è rappresentata per lo più dalla totale o parziale calcificazione delle masse caseose, che restano incapsulate da una reazione connettivale capsulare e pericapsulare. Se la sostanza caseosa, invece, subisce fenomeni di rammollimento, associati a un processo di periadenite caseosa, è possibile lo svuotamento all’esterno, oppure in una cavità sierosa, in un bronco, nell’esofago, ecc., secondo il distretto ghiandolare interessato (fistole tubercolari). Altre forme di linfadenite cronica specifica sono quella sarcoidosica, luetica, toxoplasmosica, mononucleosica e la linfoadenopatia nell’AIDS. La sarcoidosi è caratterizzata istologicamente dalla presenza di caratteristici granulomi epitelioidei (noduli sarcoidei) in più sedi. Gli organi più frequentemente colpiti cono i linfonodi (linfogranuloma benigno o malattia di Besnier-Boeck-Schaumann), il polmone, la pelle, l’occhio e le ossa. Nella linfadenite luetica, i linfonodi possono essere interessati dall’infezione sifilitica in tutti e tre gli stadi della malattia: cospicua iperplasia dei follicoli linfatici, alterazioni infiammatorie dei vasi parenchimali, ilari e capsulari, periadenite e aumento delle fibre reticolari (polpa) e collagene (trabecole e capsula). Nella toxoplasmosi, i linfonodi (per lo più cervico-nucali) sono aumentati di volume e consistenza, con conservazione dell’architettura linfonodale e presenza di numerosi micronoduli di istiociti epitelioidi nella polpa e nei follicoli secondari, iperplasia dei follicoli linfatici, istiocitosi immatura dei seni, iperplasia plasmocitaria. La linfadenite mononucleosica è caratterizzata da linfonodi modicamente aumentati di volume, con iperplasia della polpa, di cui è caratteristica la cellularità e la eterogeneità della popolazione cellulare (linfociti, cellule reticolari, plasmacellule, immunoblasti, ecc.). Nell’AIDS si distinguono 4 gradi evolutivi della linfoadenopatia:
Si distinguono due forme di linfangite acuta, la reticolare o diffusa (erisipeloide) e la tronculare, a seconda che siano interessati i vasi della rete dermica o direttamente i collettori linfatici. Si distingue, altresì, la linfangite superficiale (dermato-linfangite) da quella profonda, con interessamento delle strutture linfatiche sottofasciali. La forma reticolare erisipeloide si manifesta tramite l’improvvisa comparsa di dolore e di un’area eritematosa, edematosa, iperestesia, dolorabile alla compressione, in progressiva estensione, con margini ben definiti, generalmente associata a iperpiressia e, talora, a linfangio-adenite satellite (dermato-linfangio-adenite, DLA). Nelle aree dove il connettivo è particolarmente lasso, come le palpebre, il prepuzio, le grandi labbra, l’edema può essere molto cospicuo.
La linfangite tronculare si osserva più comunemente agli arti, con particolare frequenza all’avambraccio e al braccio. E’ caratterizzata dalla comparsa di una o più strie rossastre iperemiche, dolenti e dolorabili, rettilinee, parallele al decorso delle vene, ma indipendenti da esse, dirette dalla porta di entrata dell’infezione (ad es. una ferita cutanea) ai linfonodi prossimali (DLA) dell’arto colpito (ascellari o inguinali). Non è apprezzabile il tipico cordone duro della tromboflebite superficiale, corrispondente alla vena colpita (la linfangite si vede, la flebite si palpa) e si può associare edema, talora anche spiccato, di tipo molle periferico. Spesso, sia nella forma reticolare che in quella tronculare coesistono sintomi generali di malattia infettiva. La febbre può essere molto elevata e assumere carattere intermittente, sino a complicazioni di carattere suppurativo (adenoflemmoni, ascessi lungo il decorso linfangitico) e setticemico (shock settico).
La linfangite profonda più rara delle precedenti come manifestazione clinicamente primitiva, è invece una comune associazione delle tromboflebiti settiche, specialmente negli arti inferiori. Il quadro clinico è caratterizzato da dolore, edema, segni locali dell’infiammazione e generali di stato infettivo. L’evoluzione del quadro clinico può portare alla formazione di borsiti, artrosinoviti e ascessi metastatici a distanza. In qualche caso, può associarsi una linfangite superficiale consensuale (linfangite doppia). I linfonodi sono sempre colpiti e le stazioni interessate inizialmente sono quelle profonde. Anche nelle linfangiti profonde il formarsi di flemmoni e ascessi possono essere il punto di partenza di un processo setticemico.
La linfangite cronica aspecifica è caratterizzata dalla progressiva comparsa di edema periferico di tipo duro con deposizione nel tempo di marcata componente tissutale fibrosclerotica (sino alla c.d. elefantiasi), per la graduale obliterazione del lume dei collettori linfatici in preda ai fenomeni infiammatori cronici. Tra le forme di linfangite cronica specifica, quella tubercolare si caratterizza per la comparsa di noduli palpabili lungo il decorso dei vasi linfatici e per la fuoriuscita di materiale caseoso da aree ulcerate e sede di fistolizzazione.
Per quanto concerne la linfadenite acuta, il quadro clinico è caratterizzato da dolore, aumento di volume di uno o più linfonodi, dolorabilità alla compressione, con la comparsa di febbre. La cute sovrastante può essere normale (nelle forme iperemico-edematose) o essere iperemica, calda, edematosa, aderente alle strutture linfonodali sottostanti, talora con comparsa di fluttuazione (segno di formazione di un ascesso), sino a ulcerarsi, dando esito a materiale purulento (nelle forme suppurative, tipo adenoflemmone o ascesso), con febbre di tipo settico. Anche i muscoli sono spesso contratti per fenomeni di tipo irritativi, verificandosi il trisma negli adenoflemmoni sotto-mascellari, contrattura dello psoas nelle localizzazioni iliache.
Le linfadeniti croniche aspecifiche sono caratterizzate dall’aumento di volume e di consistenza di uno o più linfonodi, poco dolenti, con cute sovrastante normale (tumefazione mobile sui piani superficiali e profondi). Il segno clinico della mobilità linfonodale è particolarmente utile per la diagnosi differenziale con le forme croniche specifiche (specialmente tubercolari) e neoplastiche primitive o metastatiche. La comparsa della linfadenite aspecifica richiama l’attenzione sulla presenza di un focolaio primario di infezione nell’area tributaria del linfonodo o dei linfonodi colpiti (piodermite, eczema, granuloma dentario, gengivite, infezione della faringe, dell’ano, dei genitali, ecc.). In un linfonodo già sede di infezione cronica, con tumefazione e indurimento, possono verificarsi episodi di recrudescenza infiammatoria, per cui la sintomatologia assume un andamento acuto o subacuto, talvolta sino alla colliquazione ascessuale. Tra le linfadeniti croniche specifiche, quella tubercolare costituisce un motivo di maggiore interesse chirurgico. Una compartecipazione più o meno estesa dei linfonodi è caratteristica in presenza di un focolaio primitivo e recente di infezione, con precisa corrispondenza anatomica tra l’area di penetrazione del bacillo di Koch (cute o mucose) e le stazioni linfatiche satelliti. La tubercolosi può rivelarsi come malattia dei linfonodi anche in assenza di qualsiasi altra manifestazione tubercolare di altri organi ed apparati. Una delle sedi tipiche è rappresentata dai linfonodi cervicali (malattia in passato definita “scrofola”), che si presentano inizialmente tumefatti, mobili e non dolenti. Quando si instaura un processo di periadenite, per estensione della flogosi oltre la capsula, i linfonodi si fissano tra loro e ai tessuti circostanti, determinando il caratteristico aspetto della cute arrossata, tendenzialmente cianotica e particolarmente sottile, in alcuni punti, sino alla fistolizzazione con fuoriuscita di materiale caseoso.
Le caratteristiche cliniche della linfangite acuta reticolare o tronculare sono per lo più sufficienti per far diagnosi precisa. E’ importante, tuttavia, valutare i parametri clinici di gravità del quadro infettivo, che sono rappresentati da: segni e sintomi locali (dolore, vescicole, porpora, necrosi cutanea, grado di estensione dell’infezione, coinvolgimento della faccia), segni e sintomi generali (febbre, condizioni generali, stato confusionale, stato di shock), età, patologie associate (diabete, obesità, malattie cardiovascolari, alcolismo), modalità richiesta di esecuzione della terapia (farmaci per os, i.m. o necessità di terapia e.v.). E’ necessario, altresì, porre diagnosi differenziale con altre patologie quali infezioni batteriche con specifiche manifestazioni cutanee (stafilococco, pasteurella, haemofilus influenzae), dermatite da contatto, flebiti e tromboflebiti superficiali, cellulite diffusiva o flemmone, fascite necrotizzante, rigetto di materiale protesico, sindrome compartimentale. Oltre alle caratteristiche cliniche già descritte nel relativo paragrafo (v.), l’eco-color-Doppler risulta particolarmente utile per escludere la presenza o meno di una tromboflebite superficiale o di una trombosi venosa profonda. L’ecografia e la TC ci forniscono indicazioni sulla estensione e profondità del processo infettivo e sul grado di coinvolgimento dei vari tessuti ed organi colpiti, in particolare nel caso di linfangite profonda, che presenta notevoli difficoltà di diagnosi differenziale con flemmoni, osteomieliti, ecc.
Per quanto concerne le linfangiti croniche, il quadro di linfedema più o meno marcato determinato dalla progressiva obliterazione del lume vasale linfatico, in particolare se presenta un’evoluzione di tipo elefantiasico, la diagnosi è prevalentemente clinica, trattandosi di un edema duro, scarsamente improntabile (segno della fovea negativo), con segno di Stemmer (non plicabilità della cute della base del 2° dito del piede) positivo. Tuttavia, la conferma della natura linfostatica dell’edema può essere fornita dalla Linfoscintigrafia, che consente di studiare in modo non invasivo il drenaggio linfatico superficiale e profondo dell’arto o degli arti interessati. Nelle forme tubercolari, in caso di dubbio diagnostico, è utile eseguire l’esame bioptico cutaneo in corrispondenza di un nodulo lungo il decorso del cordone duro linfatico, apprezzabile sulla cute, o l’esame colturale del materiale che fuoriesce da un fistola o da un’area ulcerata cutanea.
Anche per quanto concerne le linfadeniti acute la diagnosi si basa prevalentemente sulle caratteristiche cliniche della malattia (v.). In caso di localizzazione inguino-crurale, può rendersi necessaria la diagnosi differenziale con l’ernia crurale complicata (non riducibile, incarcerata o strozzata), che viene agevolmente fatta mediante un esame ecografico. Anche nei casi di linfadenite cronica, la diagnosi si basa sui dati anamnestici, sull’esame obiettivo e sulle indagini di laboratorio. Notevoli vantaggi sono forniti oggi dall’esame ecografico dei linfonodi superficiali. Le apparecchiature ecografiche moderne, con sonde ad alta frequenza, hanno una risoluzione spaziale elevata, nell’ordine di 0.7 – 1.00 mm, permettono di visualizzare i linfonodi superficiali normali, di distinguerli da quelli patologici e di differenziare le diverse patologie (sulla base della forma, della struttura, dei margini, dei diametri e della vascolarizzazione), anche grazie all’impiego di mezzi di contrasto ecografici (microbolle stabilizzate iniettabili e.v.). La linfoscintigrafia “whole body” superficiale e profonda fornisce utili informazioni sulle sedi linfoghiandolari colpite dal processo linfoadenitico e sull’entità della stasi periferica conseguente. Ma, non di rado, solo l’esame bioptico può dirimere il dubbio diagnostico, tramite agobiopsia o exeresi bioptica chirurgica del linfonodo. La biopsia percutanea rimane, pertanto, una tecnica importante per lo studio dei linfonodi superficiali, tuttavia, l’incapacita’ di US, TC e RM di riconoscere piccole metastasi in linfonodi di volume normale, rende necessario un alto numero di prelievi bioptici. La biopsia chirurgica, in particolare se eseguita in sedi “critiche” quali l’ascella o l’inguine, può determinare la comparsa di complicazioni precoci (linfangite, linforrea, deiscenza della sutura) o tardive (linfedema) se non condotta secondo criteri di minima invasività e sulla base di una attenta valutazione clinica dello stato della circolazione linfatica dell’arto o degli arti interessati, al fine di cogliere eventuali segni di predisposizione costituzionale a manifestare alterazioni della circolazione linfatica (in questi casi è opportuno eseguire prima della biopsia linfonodale una linfoscintigrafia e adottare specifiche strategie terapeutiche preventive).
Il trattamento di un quadro acuto di linfangite erisipeloide prevede l’impiego di una terapia antibiotica inizialmente a largo spettro e successivamente mirata su un antibiogramma. I farmaci maggiormente utilizzati sono l’associazione di Amoxicillina e Ac. Clavulanico, i Macrolidi e le Cefalosporine. La profilassi degli attacchi recidivanti di linfangite viene eseguita mediante la penicillina ad azione protratta (Benzilpenicillina benzatinica), nel dosaggio di 1.200.000 UI, ogni 15-21 giorni, anche per 1-2 anni, a seconda dei casi.
Gli anticoagulanti sono indicati in pazienti a rischio per episodi trombotici e tromboembolici (presenza di varici, pregressi episodi di flebite, ecc.).
Utile, nella fase acuta, l’impiego di cortisonici, mentre l’utilizzo di FANS non è consigliato in quanto potrebbe provocare la comparsa della sindrome di Steven-Johnson (sindrome acuta da ipersensibilità, caratterizzata da eritema multiforme o eritema polimorfo).o della sindrome di Lyell (necrolisi tossica epidermica).
Un valido presidio terapeutico e’ rappresentato, inoltre, dal confezionamento di un bendaggio modestamente compressivo funzionale multistrato medicato con pomate antibiotiche (in particolare gentamicina), associate o meno a cortisonici e ossido di zinco (in pasta o bende).
E’ importante, infine, il trattamento delle porte di entrata dell’infezione mediante igiene adeguata, disinfezione, medicazioni accurate e, se necessari, antimicotici locali e generali.
La terapia delle linfadeniti non suppurative è anch’essa basato sull’impiego di antibiotici sia per la fase acuta che per la profilassi. Nelle forme ascessuali (adenoflemmone) è opportuno drenare la raccolta suppurativa chirurgicamente ed effettuare idonee medicazioni mediante lavaggi con acqua ossigenata e soluzioni iodate.
Le forme di linfangite e linfadenite specifiche (tubercolare, luetica, ecc.) necessitano di un trattamento specifico secondo gli schemi classici di chemioterapia antibiotica, mirata al trattamento della patologia di base. Nelle forme tubercolari, al fine di prevenire la fistolizzazione spontanea, è opportuno drenare l’ascesso freddo chirurgicamente ed effettuare lavaggi mediante antibiotici specifici (streptomicina, rifampicina). Nel caso in cui sia necessario (pacchetto linfonodale molto voluminoso), l’asportazione chirurgica deve essere condotta facendo particolare attenzione a non diffondere il materiale colliquato, caseoso ai tessuti circostanti, onde favorire, insieme ad una adeguata terapia antibiotica, una rapida guarigione e prevenire possibili complicanze (linforrea, linfangiti, deiscenza della sutura).
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Data ultimo aggiornamento: 11 gennaio 2022